Laghetto e Cisterna di Valsorda di Gualdo Tadino

Laghetto e Cisterna di Valsorda di Gualdo TadinoLAGHETTO E CISTERNA DI VALSORDA DI GUALDO TADINO
Relazione storica

Incaricato a ricercare notizie circa il laghetto montano di Valsorda (m. 1.050 s.l.m.), località di particolare pregio ambientale racchiusa tra i monti Maggio (m. 1361) e Serrasanta (m. 1348), rilevo che l’area nel corso dei secoli è stata al centro di alcune vicende riguardo: la disputa dei confini tra i Comuni di Gualdo Tadino e Fabriano; l’affitto dei prati per il pascolo dei bestiami; la presenza dell’ospizio, della maestà, della cisterna e della troscia di Valsorda.

La località è nota fin dal Medioevo per essere uno dei passi montani utilizzato per valicare le montagne dell’Appennino umbro-marchigiano grazie alla depressione del contrafforte esistente tra i monti Serrasanta e Maggio. Per questa funzione Valsorda è ricordata fin dal 4 aprile 1288, per una rendita assegnata a favore dell’ospedale di Valsorda, una specie di ricovero per i viandanti e pellegrini, i cui resti sono venuti alla luce negli anni Ottanta del secolo scorso. In questo importante andare e venire confuso di persone, nel 1450, è ricordato il transito di papa Nicolò V, accompagnato da sette cardinali, diretto nelle Marche: il pontefice una volta a Gualdo valica l’Appennino e, superata Valsorda, discende il versante marchigiano fino al paese di Cacciano.

Valsorda è anche la località che viene a trovarsi, per oltre cinquecento anni, al centro delle dispute tra i Gualdesi ed i Fabrianesi per i confini della montagna: nel 1544, ad esempio, viene tracciata una linea di confine che dalle località Sasso Barbano, Serrasanta, Bocca di Valsorda prosegue fino a Valmare. Dieci anni dopo, però, i Fabrianesi, che godono il diritto di pascere e di legnare sul versante orientale della montagna, contestano tale scelta ottenendo, il 4 settembre 1567, di fissare i termini da monte Nero al displuvio di Valsorda, fino ai confini del territorio di Fossato, corrispondenti alla linea divisoria del deflusso delle acque sulla montagna. Tale revisione dei confini è contestualmente accettata dai due contendenti nel 1574, anche se alcune questioni saranno definitivamente chiarite nei secoli successivi. A seguito di tali accordi, ai Gualdesi è vietato di abbeverare il proprio bestiame alle Fontanelle di Valmare e alla Fonte delle Strocche, in territorio marchigiano, le uniche sorgenti conosciute in quella parte dell’Appennino.

In seguito a questo negoziato il Comune di Gualdo è costretto a ricercare entro i propri confini nuove sorgenti di acqua ed a realizzare specifiche vasche per far fronte alle esigenze degli allevatori, poiché il capitolato di affitto dell’erba e della foglia della montagna prevede l’approvvigionamento per l’abbeveraggio degli animali.

La prima notizia relativa alla Troscia vallis surde è del 7 agosto 1588 quando il General Conseglio delibera una tassa a quilli che hanno le bestie et pasturano in Valsorda, et de detta spesa se facci remondar la troscia et assestar la cisterna[1]; localmente il termine troscia intende uno scavo del terreno, di forma varia più o meno profonda, secondo l’uso cui è destinata (la troscia del letame, dell’acqua per macerare le pelli, la canapa, i vimini, ecc.) o un serbatoio naturale o artificiale per il recupero delle acque piovane, come la troscia di monte Penna, ricordata già nel 1738.

Il documento citato è anche il primo che ricorda la cisterna, ancora esistente, probabilmente costruita in muratura nel sottoterra, per raccogliere l’acqua piovana. L’operazione di ripulitura del laghetto e del restauro della cisterna, effettuata con lo scopo di consolidare la presenza dell’acqua nelle due infrastrutture e portata a termine nei mesi successivi, si lega all’iniziativa volta a ricercare altra acqua nella montagna, essendo quella utilizzabile insufficiente per il fabbisogno degli animali, bovini ed ovini. Infatti, le indagini per individuare nuove sorgenti sono sollecitate nell’estate 1589 per far cavare un fosso per ritrovare l’acqua in Valsorda[2]; iniziativa che non produce i risultati attesi se nell’inverno del 1602, il Consiglio generale delibera che si faccino bandi se alcuno volesse artrovare l’acqua in Valsorda, et che venendo offerta se risponghi per un altro Consiglio[3].

Per quanto riguarda la cisterna, il 3 maggio 1598[4] si liquida una somma per havere remondata la Cisterna di valsorda con licentia delli superiori[5], mentre un altro restauro è intrapreso il 3 maggio 1615 al pari della maestà, ricordata una prima volta nel 1581, forse posta nei pressi della stessa[6]. Ancora il 1 febbraio 1632 la troscia stessa viene fatta remondare con i denari dei proprietari dei bestiami utilizzatori della vasca[7]; uno di questi reclama che in essa vanno a bevere vaccine d’Altri le quali intorbidano e lordano lacqua, con grave danno dei privati e della Comunità, e per tale motivo chiede che in detta troscia non si possi abbeverare bestie vaccine per tutto il mese di agosto e mezzo settembre[8].

Con il trascorre degli anni l’insufficienza di acqua si fa nuovamente avvertire e di tale necessità del Comune, che continua ad affittare i pascoli della montagna a patto di garantire l’acqua a Valsorda, il 20 agosto 1645 se ne fa carico un cittadino, che haverebbe speranza di trovare in detto loco una vena di onesta quantità d’acqua durabile per l’estate; perciò propone di effettuare la ricerca a proprie spese con la sola condizione di essere retribuito qualora avesse scoperto una nuova sorgente[9]. In seguito a tale proposta l’amministrazione pubblica elegge quattro uomini esperti per concordare l’ammontare del rimborso qualora fosse stata ritrovata tanta acqua in Valsorda in conveniente quantità per l’estate. Operazione che non dà esito positivo in quanto, il 18 marzo dell’anno successivo, il Consiglio delibera di fare nuovi bandi per chi volesse attendere al casamento dell’acqua in Valsorda. Appalto assegnato il 22 maggio per la somma di scudi 40 da pagarsi una volta ritrovata l’acqua corrente a sufficienza per il bestiame. Si presume che la ricerca non sia stata risolutiva perché il 17 settembre 1651, la massima assise cittadina pone all’ordine del giorno la costruzione di una piscina nel luogo detto di Cannoine (attuale Casciera) per risolvere il problema della gestione della montagna che reputa essere sempre più difficile locare, et affittare [….] per la penuria dell’acqua per abbeverare i bestiami.

La realizzazione della vasca sembra risolvere definitivamente il problema della carenza di acqua poiché, nel successivo ventennio, il Comune si preoccupa esclusivamente del sistema igienico della cisterna per uso di quelli lavorano in montagna, et se li faccia il parapetto, acciò non possino precipitarsi le bestie, come è stato in passato, di dare una ripulita all’istessa troscia di Valsorda e di ricostruire la bocca della cisterna (1672), evidentemente danneggiata, poiché dispone che trovandosi qualche duno a far danno alcuno gli si faccia pagar la pena di scudi 10 da applicarsi conforme al solito e vi si possa procedere anco per inquisitione[10].

Della troscia, invece, si ritorna a parlare nel XVIII secolo: il 2 aprile 1714, vedendosi guastata nell’argine dalla parte di sotto, si delibera di restaurarla[11], mentre il 16 agosto 1728, con editto del commissario apostolico, viene proibito ai proprietari di bestiami che non si sono aggiudicati l’appalto dell’erba e della foglia di utilizzare la vasca, o troscia di Valsorda sotto le pene pecuniarie e corporali. Stando ad una offerta per l’affitto triennale dell’Erba e Foglia della montagna, del 29 luglio 1742, si immagina un nuovo periodo di penuria di acqua sui pascoli dell’Appennino gualdese, perché è condizionata alla realizzazione di un fontanile a Valsorda o sulla montagna del Palazzo dove sono i trocchi[12]. Insufficienza che nel  successivo anno 1743 è alla base della decisione della Comunità di appaltare i lavori di ripulitura della troscia che nel giugno 1744 è provvista di una staccionata per riparo delle bestie grosse affinché non si possi guastare lacua[13].

A tali lavori, l’8 agosto 1745 ne seguono altri riguardanti la ripulitura del Pozzo di Valsorda da ogni ingombrine che è all’interno ed il rifacimento dei parapetti murati a calce, secondo l’arte […]che siano stabili, e chiodati. Al di là di queste attenzioni l’esigenza di acqua sulla montagna per l’abbeveraggio dei bestiami si ripropone anche il 23 marzo 1749; per lo stesso motivo nel 1750 si eseguono i restauri del muretto del laghetto per impedire la perdita di acqua.

Passata la fase di ricostruzione postsismica legata al disastroso terremoto del 26 luglio 1751 si torna a discutere del problema dell’acqua a Valsorda il 5 settembre 1773 quando l’affittuario dell’erba e foglia della montagna chiede alla Comunità il restauro dei trocchetti per abbeverare nei luoghi soliti, come pure la ripulitura delle trosce di Valsorda, facendo intendere dell’esistenza di altri specchi d’acqua. Lo stesso affittuario, il 5 marzo 1775, una volta eliminato il materiale inquinante, chiede la concessione del laghetto ad effetto nella medesima tenerci il Pesce Tinca, obbligandosi a tenerlo pulito a sue spese e con la condizione che in detta troscia non fosse lecito a qualunque ceto di persone andarvi a pescare, e andandoci e pescando si debba dal commissario procedere anche per inquisitione e quando fosse persona privilegiata di poter ricorrere a Superiore, e ciò perché la tinca, molto apprezzata, è ritenuta adatta a vivere nelle acque stagnanti a fondo melmoso della vasca di Valsorda. Il 15 marzo sono appaltati i lavori per il ripulimento della troscia da fondo in guisa tale che non resti ombra alcuna di fango, o sia Biuta in ogni parte, con conditione che lo spurgo […..]debba buttarsi verso l’Acqua pendente, acciò non possa ritornare in detta troscia, e di eseguirli ad uso d’arte entro 15 giorni.

Difficile dire se il progetto di convertire il laghetto in allevamento di tinche è realizzato materialmente, anche se il documento successivo sembra confermarlo: il 2 aprile, infatti, gli affittuari della montagna lasciano intendere il divieto di utilizzo della troscia perché chiedono la realizzazione di trocchi ai fontanili di Palazzo, di Rigali e dei Renacci e la ripulitura del pozzo di Valsorda, essendo pieno di materiali putrefatti[14]; a tutela dello stesso laghetto il 18 giugno 1781 il commissario apostolico emana precetti contro coloro che hanno promosso uno stazzo di pecore a monte di esso per evitare che le sostanze organiche degli animali inquinassero l’acqua[15].

Il 9 maggio 1795 è richiesto un intervento urgente poiché la troscia detta di Valsorda contiene pochissima acqua e va a pericolo di rimanere asciutta affatto per essersi devastato il muro che racchiude l’acqua medesima: per tale motivo è incaricato un perito per verificare l’entità della spesa occorrente, che ammonta a scudi venti. La perizia rileva che lo sbarramento è stato rovinato dalle piene, e pertanto l’abbeveratoio suddetto ritiene poca acqua presentemente e corre il pericolo che fra poco vada ad asciuttarsi del tutto ritenendo non l’acqua perenne ma solamente acqua di scolo. Perciò giudica necessaria la sua ricostruzione per la lunghezza di piedi quarantacinque e che sia fabbricato cinque piedi sotto terra e della grossezza di piedi due e mezzo romani; tra le priorità vi è quella di ritrovare il fosso e per formare dalla parte esterna del muro una Passonata ad uso di cestone acciò faccia fortezza e sostegno al muro[16].

Il XIX secolo conferma l’impegno e l’attenzione delle istituzioni per regolamentare l’utilizzo di tali opere pubbliche e del loro restauro; il 18 giugno 1813, ad esempio, emanano un provvedimento che obbliga i pastori a far stazionare le pecore in un luogo da cui non possono i letami di esse far scolo nella troscia[17]; il 26 settembre 1828, invece, evidenziano l’errore di fare abbeverare nella troscia, addetta esclusivamente per le pecore e le capre, le cavalle di un facoltoso cittadino[18]; il 19 giugno 1834, infine, restaurano con sollecitudine il prospetto del pozzo per prevenire eventuali pericoli per gli uomini e per gli animali. A tale proposito la Giunta comunale, considerato che non è mai esistito simile parapetto e che si tratta di una servitù prediale, delibera chiunque sia il proprietario del fondo in cui esiste il pozzo, che  tocca agli utenti di fare eseguire a proprie spese quei restauri che sono inerenti all’uso della servitù[19].

Nel 1860, per volontà di un cittadino viene nuovamente ripulita nel meglio piano di Valsorda la cisterna ivi esistente avendola trovata ripiena d’ammassi sugidi e lordi dal che produceva un’acqua fedita ed insalubre per l’uso di servirsene alla bevanda dei lavoranti che praticano la montagna: lo stesso fa notare la cisterna stessa è mancante di un parapetto in muratura necessario per impedire eventuali cadute, la sola che somministra l’acqua potabile in tutta quella periferia di montagna, e che parte della volta sotterranea è caduta e parte è sul punto di rovinarsi; la successiva perizia, intesa ad evidenziare la proprietà del terreno su cui è posta, la qualità dei lavori da effettuarsi e la spesa presumibile per risarcirla, prevede i seguenti lavori: prosciugare l’acqua contenuta, realizzare un’armatura per sostenere sia la parte di volta pericolante, che quella da ricostruire, lasciare un pertugio nel centro della volta, sopra la quale innalzare un muro di pietra concia, da prendersi nella cava prossima alla strada dopo la Falcinesca. Il 27 giugno 1860, i lavori sono appaltati con la condizione della loro esecuzione ad opera d’arte, da concludersi entro un anno[20].

Il venir meno della consuetudine di affittare l’erba e la foglia della montagna, di una diminuzione del numero di animali da pascolo e negli anni Cinquanta del Novecento di un diverso utilizzo della Valsorda per fini turistici, a cui ha fatto seguito la realizzazione di un albergo, di un ristorante e di abitazioni private, ha determinato il quasi abbandono dei laghetti che, anche per alcuni discutibili restauri, non hanno più avuto, dal punto di vista biologico e naturale, quella tutela ambientale meritevole di attenzione e di protezione, tra l’altro fondamentali per valorizzare un altopiano carsico di estrema bellezza.

 [1] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1586-1590, n. 45, c. 94.
[2] ASCGT, Archivio Preunitario, Uscita 1586-1599, n. 311, c. 24.
[3] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1602-1607, n. 48, c. 5v.
[4] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1593-1601, n. 47, c. 124v.
[5] ASCGT, Archivio Preunitario, Uscita 1586-1599, n. 311.
[6] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1612-1617, n. 50, c. 122.
[7] ASCGT, Archivio preunitario, Consigli 1630-1635, n. 54, c. 102v.
[8] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVII secolo, n. 142.
[9] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVII secolo, n. 158.
[10] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1670-1679, n. 60,  c. 50.
[11] ASCGT, Archivio Preunitario, Consigli 1718-1729, n. 63, c. 80.
[12] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVIII secolo, n. 194.
[13] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVIII secolo, n. 194.
[14] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVIII secolo, n. 176.
[15] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVIII secolo, n. 186.
[16] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio XVIII secolo, nn. 163 e 171.
[17] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio del Maire, n. 531.
[18] ASCGT, Archivio Preunitario, n. 768.
[19] ASCGT, Archivio Preunitario, Carteggio secolo, n. 788.
[20] ASCGT, Archivio Preunitario, n. 872.

Gualdo Tadino, 22 ottobre 2009

Sergio Ponti

Inviato dall’ex Assessore all’Ambiente del Comune di Gualdo Tadino
Maria Paola Gramaccia

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